Espressioni scortesi? Non costituiscono mobbing nei rapporti informali

ll Tribunale di Milano ha stabilito che non costituisce mobbing la condotta dell’amministratore delegato che si rivolge a un dipendente apostrofandolo con termini scortesi per sollecitarlo a una maggiore produttività. Questo in un contesto aziendale caratterizzato da rapporti informali, nonostante il dipendente accusi un disagio psico-fisico.

Nel caso un dipendente lamentava di aver subito mobbing a causa di insulti rivolti nei suoi confronti dall’amministratore delegato della società nell’ambito di alcune riunioni di lavoro al fine di isolarlo ed escluderlo dal contesto aziendale. Tale finalità sarebbe stata raggiunta nel momento in cui il lavoratore aveva subito un infarto da attribuire, secondo lo stesso, alla condotta dell’amministratore delegato.

Il Tribunale di Milano ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale che, in assenza di una disciplina normativa, definiscono il mobbing “una fattispecie di danno derivante da una condotta del datore di lavoro protratta nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione, finalizzata all’emarginazione del lavoratore”.

Il giudice ha osservato che elementi caratterizzanti di questo comportamento sono:

  • il protrarsi nel tempo della condotta con una molteplicità di atti, sia giuridici, sia materiali;
  • la volontà di un disegno unitario volto alla persecuzione o all’emarginazione del dipendente;
  • il conseguente danno per la vittima, che può concretizzarsi in una lesione della sua sfera professionale, sessuale, morale, psicologica o fisica.

Il giudice ha rilevato che dall’istruttoria emergeva come l’amministratore delegato fosse solito a non curare la parte formale delle proprie comunicazioni, adoperando anche espressioni talora volgari nei rapporti con colleghi e dipendenti. Risultava anche parzialmente dimostrato che in certe occasioni egli avesse adoperato simili espressioni con il lavoratore, ma che si era trattato di singoli episodi, senza l’intento premeditato di umiliarlo o screditarlo.
Era emerso infine che, in generale, le comunicazioni e i rapporti all’interno dell’azienda avevano un tenore piuttosto informale e che anche il lavoratore si rivolgeva con espressioni gergali ai propri colleghi incluso lo stesso amministratore delegato.

Il Tribunale ha ritenuto che gli elementi di mobbing non potevano considerarsi sussistenti in quanto non poteva essere provata l’esistenza di un disegno persecutorio elaborato e perseguito dalla società e, in particolar modo, dal suo amministratore delegato, in danno del dipendente.

Di conseguenza, il ricorso del dipendente è stato rigettato.

La reperibilità duarnte il turno di riposo non produce automaticamente danno, bisogna provarlo!

Il disagio patito per la reperibilità in giorno festivo non seguita da effettiva attività lavorativa può assumere dimensioni tali da incidere sul piano psicofisico del lavoratore che non possa godere del riposo compensativo, trasformandosi in danno da usura psicofisica. A tal fine non è sufficiente la mera deduzione di non aver potuto godere il giorno festivo per l’impegno di reperibilità, essendo necessario allegare e provare il danno che tale reperibilità ha prodotto.

La sentenza del 7 settembre 2011, n. 18310 della Corte di Cassazione aderisce all’indirizzo tracciato dalle Sezioni Unite in forza del quale ogni pretesa risarcitoria del lavoratore per danno non patrimoniale è soggetta alla prova, anche per presunzioni semplici, della sussistenza di un pregiudizio concreto.

Un dipendente di una Asl si rivolgeva al giudice del lavoro per ottenere il risarcimento del danno derivatogli dall’usura psicofisica subita per le giornate lavorative effettuate nei giorni destinati a riposo compensativo a seguito di turno di reperibilità prestato in giorno festivo.

I giudici di primo e secondo grado respingevano la domanda, ritenendo non fornita dall’interessato la prova del pregiudizio sofferto e la sua dipendenza causale dalla mancata fruizione del riposo.
Il lavoratore ricorreva per cassazione, ma neanche in questa sede otteneva ragione.

Il ricorrente lamentava la violazione del diritto costituzionalmente garantito al giorno di riposo compensativo previsto dalla contrattazione collettiva, la violazione dell’art. 32, dell’art. 36 comma 3 e dell’art. 41 Costituzione, nonché dell’art. 2087 cod. civ. e dell’art. 9, D.Lgs. n. 66 del 2003, per violazione del diritto all’integrità psicofisica del lavoratore nonché del diritto al risarcimento in via equitativa del danno da usura psicofisica per avere lavorato in giornate destinate a riposo compensativo.

A detta del ricorrente, diversamente dal danno biologico, il danno da usura psicofisica per mancata concessione del riposo settimanale doveva essere ritenuto presunto.

La Suprema Corte ritiene infondate le lamentele del lavoratore ed evidenzia che la vicenda in esame consiste nell’effettuazione di turni di reperibilità passiva in giorni festivi, con diritto ad un giorno di riposo compensativo nella settimana successiva, in concreto non usufruito perché lavorato.

La Corte osserva di avere chiarito in precedenti occasioni che la reperibilità prevista dalla disciplina collettiva si configura come una prestazione strumentale ed accessoria qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro, consistendo nell’obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori del proprio lavoro, in vista di un’eventuale prestazione lavorativa, e di raggiungere in breve lasso di tempo il luogo di lavoro per eseguirvi la prestazione richiesta.

Pertanto, non equivalendo all’effettiva prestazione lavorativa, il servizio di reperibilità svolto nel giorno destinato al riposo settimanale limita soltanto, senza escluderlo del tutto, il godimento del riposo stesso.

La Corte prosegue rilevando che è certo possibile che quel disagio assuma dimensioni tali da incidere sul piano psicofisico del lavoratore che non possa godere del riposo compensativo, ma a tal fine non è sufficiente la mera deduzione di non aver potuto godere appieno il giorno festivo per il connesso impegno di reperibilità, essendo necessario allegare e provare il danno che tale reperibilità ha prodotto. Né è il datore di lavoro a dover dimostrare l’idoneità dei benefici contrattuali a fornire l’integrale ristoro del mancato recupero delle energie psicofisiche del lavoratore, essendo invece quest’ultimo a dover provare che la mera reperibilità passiva non seguita da riposo compensativo sia stata produttiva di un danno.

La Cassazione conclude, quindi, per il rigetto del ricorso

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Licenziamento illegittimo se la contestazione è tardiva

E’ quanto ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza del 14 settembre 2011, n. 18772, in conformità al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia.

I giudici di primo e secondo grado, oltre ad accertare il demansionamento di un dipendente di una società, annullavano il licenziamento comminato al medesimo, disponendone la reintegrazione nel posto di lavoro, con le mansioni già svolte, in aggiunta al risarcimento del danno non patrimoniale.

I giudici di merito, in particolare, ritenevano il recesso privo di giusta causa o giustificato motivo, in quanto gli addebiti consistenti nella violazione dei doveri di fedeltà, diligenza, correttezza e buona fede, erano stati tardivamente contestati.

Il “principio della immediatezza”, per la Cassazione, trova fondamento nell’art. 7, L. n. 300 del 1970, che riconosce al lavoratore incolpato il diritto di difesa: diritto da garantirsi nella sua effettività in relazione ad una contestazione immediata dei fatti contestati, per consentire al lavoratore di predisporre il materiale difensivo per contrastare il contenuto delle accuse.

In giurisprudenza, l’applicazione di detto principio è stata “temperata”, ritenendo la stessa compatibile con un intervallo di tempo necessario al
datore di lavoro per il preciso accertamento delle infrazioni commesse dal prestatore di lavoro.

L’immediatezza si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, proprio perché la tardività della
contestazione e del provvedimento di recesso induce a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento, ritenendo non grave o, comunque, non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore.

Tale considerazione, osserva la Corte, va integrata con il rilievo secondo cui il requisito dell’immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto.

Secondo la Cassazione, la sentenza impugnata è in linea con i principi di diritto, dove ha affermato che, se anche il principio dell’immediatezza va inteso in senso relativo, tenuto conto dell’illecito disciplinare nonché del tempo per espletare le indagini, non può procrastinarsi per un tempo eccessivo l’esercizio del potere disciplinare, tanto da rendere al dipendente impossibile l’esercizio del diritto di difesa.

Nella specie, le contestazioni mosse per la prima volta al lavoratore nel maggio 2001, sono state ritenute tardive, poiché i relativi fatti risalivano al 1999 e gli stessi erano conosciuti alla società, tanto che la stessa assumeva la decisione di destinare, nell’ottobre dello stesso anno, il dipendente ad altro incarico, senza muovergli alcuna contestazione.

Niente credito d’imposta se si viola la normativa sulla salute e sicurezza dei lavoratori

La Cassazione ha affermato che non spettano le agevolazioni fiscali per i neoassunti nel caso in cui l’azienda abbia violato la normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori. Nel caso di specie, infatti, non rileva l’entità della sanzione inflitta.

Nel merito un’azienda si è opposta dinanzi alla Commissione Tributaria alla revoca di un credito d’imposta. La questione, arrivata dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, ha visto l’accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle Entrate perché la revoca del beneficio presuppone che siano state irrogate sanzioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, indipendentemente dall’entità della sanzione e anche nel caso in cui le sanzioni siano di tipo formale.

Infatti, per la Corte, al caso di specie è inapplicabile l’art. 4, comma 7, Legge n. 449/1997, in quanto lo stesso è attinente a violazioni della normativa fiscale e contributiva in materia di lavoro, non a violazioni della normativa sulla salute e sicurezza dei lavoratori.

Una tale lettura della norma appare conforme alla ratio di coniugare la politica incentivante verso le imprese che assumono nuovi dipendenti con la necessità di garantire un livello non minore di tutela per l’incolumità psicofisica sul luogo di lavoro.

In conclusione, per i neoassunti non competono le agevolazioni fiscali se non si rispettano le norma sulla salute e sicurezza sul lavoro.

Attento ai tuoi veicoli: sono sotto il mirino del garante!

I dati relativi all’ubicazione dei veicoli, direttamente o indirettamente, associati ai lavoratori, costituiscono informazioni personali riferibili a questi ultimi, con la conseguenza che al trattamento di tali informazioni trova applicazione la disciplina contenuta nel Codice sulla Privacy. Torna così il Garante ad occuparsi dei casi di trattamenti effettuati mediante sistemi di localizzazione.

Sempre più frequentemente sistemi di localizzazione e di comunicazione della posizione rilevata sono installati a bordo dei veicoli impiegati da datori di lavoro pubblici e privati per soddisfare esigenze organizzative e produttive ovvero per la sicurezza sul lavoro nell’ambito della fornitura di servizi di trasporto di persone o cose nonché per dare esecuzione ad ulteriori prestazioni, con riflessi sulla possibilità di localizzare la posizione dei lavoratori assegnatari dei veicoli medesimi.

In relazione a dette circostanze, il Garante per la privacy ha precisato che i datori di lavoro pubblici e privati che si avvalgono di sistemi di localizzazione e di comunicazione della posizione rilevata installati a bordo dei veicoli devono osservare le seguenti prescrizioni:

a. quale misura necessaria, nel rispetto del principio di necessità: la posizione del veicolo non deve essere di regola monitorata continuativamente dal titolare del trattamento, ma solo quando ciò si renda necessario per il conseguimento delle finalità legittimamente perseguite;

b. quale misura necessaria, in base al principio di pertinenza e non eccedenza: i tempi di conservazione delle diverse tipologie di dati personali eventualmente trattati devono essere commisurati tenendo conto di ciascuna delle finalità in concreto perseguite;

c. quale misura necessaria: provvedere alla designazione, quali responsabili del trattamento ai sensi dell’art. 29 del Codice, degli operatori economici che forniscono i servizi di localizzazione del veicolo e di trasmissione della posizione del medesimo, e impartire loro le necessarie istruzioni in ordine all’utilizzo legittimo dei dati raccolti per le sole finalità previste dall’accordo che regola la fornitura del servizio di localizzazione;

d. quale misura opportuna: adottare un modello semplificato di informativa, quale quello individuato dal Garante, utilizzabile alle condizioni indicate al fine di rendere noto agli interessati il trattamento effettuato mediante il sistema di localizzazione del veicolo.
Va sottolineato che il Garante precisa inoltre che deve essere effettuato per l’installazione dei sistemi di localizzazione e di comunicazione in oggetto, preventivo accordo con le rappresentanze sindacali o, in difetto, autorizzazione del competente organo periferico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

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Incentivi assunzioni lavoratori disoccupati e in mobilità: domande solo on-line

Dal 1 novembre 2011 le domande di incentivo per l’assunzione dei lavoratori disoccupati da almeno 24 mesi o iscritti nelle liste di mobilità possono essere richieste solo in modalità telematica.

In via preliminare le nuove richieste riguarderanno:

  • assunzioni a tempo indeterminato di lavoratori disoccupati o in cassa integrazione straordinaria da almeno 24 mesi (L.407/90)
  • assunzioni a tempo indeterminato, a tempo determinato, nonché le proroghe e le trasformazioni a tempo indeterminato di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità (artt. 8 e 25 L. 223/91).

Una volta inviate, le richieste saranno controllate in modo automatico entro il giorno successivo a quello di inoltro, con aggiornamento della posizione anagrafica e contributiva del datore di lavoro.
Successivamente verranno effettuate verifiche dettagliate sulle dichiarazioni rese dal datore di lavoro sulla domanda.

Verranno quindi assegnati i codici autorizzazione 5N o 5Q a seconda dell’agevolazione richiesta.
In merito al contributo pari al 50% dell’indennità di mobilità residua che sarebbe spettata al lavoratore, viene precisato che le autorizzazioni e le comunicazioni del piano di fruizione, saranno rilasciate in un momento successivo.

Il flusso di lavoro pertanto dovrà essere:

  • acquisizione da parte del datore di lavoro del certificato attestante la disoccupazione o l’iscrizione alle liste di mobilità o gli appositi moduli di autocertificazione (SC66 – SC67)
  • invio nei termini delle comunicazioni tramite UNILAV
  • prima dell’invio del flusso Uniemens, trasmissione all’Inps della dichiarazione di responsabilità all’Inps con copia del documento di identità del lavoratore e copia del certificato di disoccupazione o iscrizione alle liste di mobilità ovvero delle autocertificazioni.

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Incentivi per l’assunzione di giovani genitori

Con la Circolare 115/2011, l’Inps ha reso note le modalità per l’iscrizione alla “Banca dati per l’occupazione dei giovani genitore” come previsto dal Decreto del 19 novembre 2010 Presidenza del Consiglio dei Ministri, e le modalità con le quali i datori di lavoro devono richiedere l’incentivo.

Il Decreto in oggetto ha previsto un incentivo economico a favore delle imprese private e delle società cooperative che assumono a tempo indeterminato soggetti di età non superiore ai 35 anni (36 anni meno un giorno), che siano genitori di figli minori, legittimi, naturali o adottivi, ovvero affidatari di minori, che abbiano un rapporto di lavoro precario (tempo determinato, somministrazione, intermittente, job sharing, co.co.pro, lavoro accessorio).

Il beneficio economico ha un valore massimo di € 5000,00 per ogni assunzione fino al limite di cinque assunzioni per singola impresa o società cooperativa ed è cumulabili con altri incentivi previsti dalle norme vigenti..

L’Inps specifica che il datore di lavoro deve richiedere il beneficio economico dopo aver effettuato l’assunzione del lavoratore iscritto alla Banca dati, utilizzando il modulo telematico presente sul sito internet dell’Istituto, Cassetto previdenziale Aziende, Istanze on line. Entro il giorno successivo all’invio dell’istanza, l’Inps effettuati i controlli automatizzati, attribuirà automaticamente il codice autorizzazione 4M, che assume significato di “Azienda autorizzata a fruire dell’incentivo per assunzione gioveni genitori DM 19 novembre 2010.
Una volta concesso, il beneficio è fruito tramite conguaglio nella dichiarazione Uniemens.

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Il Testo Unico

In data 28 luglio il Consiglio dei Ministri ha approvato in via definitiva il Decreto legislativo che riforma l’istituto dell’apprendistato: il Testo Unico.
Il regime transitorio è destinato a durare non più di 6 mesi, dopo di che troveranno applicazione integralmente le nuove disposizioni.
Il nuovo Testo Unico abroga tutta la disciplina previgente e diventa l’unica fonte nazionale cui riferirsi per la disciplina dell’apprendistato.

Tra le principali novità si segnala quanto segue :

  • viene confermata la natura a tempo indeterminato del contratto di apprendistato: durante la sua vigenza, il datore di lavoro può recedere per giusta causa o giustificato motivo (a differenza del contratto a tempo determinato dove il recesso è solo per giusta causa). Al termine del periodo di apprendimento vi è la possibilità di libero recesso, senza la necessità della giustificazione, ma con l’obbligo del preavviso;
  • oltre alla conferma dell’obbligo della forma scritta e dell’alternativa, in materia retributiva, del sotto inquadramento di 2 livelli ovvero della percentualizzazione della retribuzione in modo graduale rispetto all’anzianità di servizio, è prevista la possibilità di finanziare percorsi formativi aziendali degli apprendisti attraverso i fondi paritetici interprofessionali;
  • riguardo alla durata, le assenze involontarie (malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del rapporto) superiori a 30 giorni posticipano la scadenza;
  • divieto di retribuzione a cottimo;
  • presenza di un tutore o referente aziendale;
  • registrazione della formazione effettuata e della qualifica professionale ai fini contrattuali eventualmente acquisita nel libretto formativo del cittadino.

Rimangono 3 le tipologie contrattuali, pressoché perfettamente sovrapponibili alle precedenti :

APPRENDISTATO PER LA QUALIFICA E PER IL DIPLOMA PROFESSIONALE
APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE o contratto di mestiere
APPRENDISTATO DI ALTA FORMAZIONE E DI RICERCA

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Licenziamento immediato in caso di superamento del periodo di comporto

Terminato il periodo transitorio è ormai pienamente funzionante la procedura telematica di trasmissione dei certificati medici di malattia dei lavoratori dipendenti.

Appare importante fare precisazioni sulla facoltà del datore di lavoro di licenziare, al superamento di un certo periodo di assenza per malattia (detto di comporto), il lavoratore.

Il superamento di detto periodo (previsto dai CCNL) deve essere fatto valere immediatamente al fine del licenziamento. Ogni comportamento contrario va interpretato come volontà del datore di lavoro a non volersi avvalere di tale procedura. Ad esempio inviare un lavoratore a sostenere una visita medica per accertare il suo stato di salute farà venir meno la possibilità di licenziamento. Lo conferma la Corte di Cassazione pur affermando che, in assenza di normativa in merito, la valutazione giurisprudenziale vada eseguita caso per caso. E’ concesso comunque al datore di lavoro un periodo (spatiumdeliberandi) perché egli possa valutare convenientemente nel complesso la compatibilità della presenza del lavoratore in rapporto agli interessi aziendali. Il licenziamento per superamento del periodo di comporto pertanto non prevede come requisito fondamentale la stessa tempestività del licenziamento per motivi disciplinari.

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Inform@Mail del 16 settembre di Donatella Chiomento

FISCO

Liti fiscali pendenti, le regole per la chiusura agevolata
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LAVORO
Detrazioni d’imposta per carichi di famiglia, comunicazione solo in caso di variazioni
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ALTRO
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Leggi l’articolo completo al seguente link: Inform@Mail del 16 settembre