5 buoni motivi per cambiare la composizione del debito finanziario

Spazio dedicato al Dott. Gino Manoni, referente del network www.consulentiaziendaliditalia.it per la provincia di Ancona.

Una delle attività fondamentali che deve gestire il responsabile della finanza in un’impresa, non importa se di grandi o di piccole e medie dimensioni, riguarda l’entità e la composizione del debito finanziario.

L’attenzione di chi guarda alle criticità della finanza d’impresa si è molto spesso incentrata sul primo punto ovvero al rapporto tra capitale proprio e capitale di debito relegando il secondo punto a considerazioni di mera natura tattica e di breve periodo.

Non si vuole ovviamente qui sostenere che la capitalizzazione delle imprese italiane, specie di quelle a proprietà chiusa, non sia un aspetto centrale, ma ridare maggiore dignità alle scelte di composizione del debito che influiscono pesantemente sui risultati economici, sulla capacità di far crescere o di ristrutturare le attività operative, sulla flessibilità ed elasticità delle decisioni finanziarie.

Per provare a tradurre tali concetti, a volte troppo astratti, in linguaggio concretamente comprensibile ed operativamente applicabile si individuano di seguito cinque situazioni che generano in azienda squilibri da correggere attraverso una modifica della composizione del debito.

Primo. I flussi di liquidità disponibili previsti entro due/tre anni (al netto degli impegni certi) non sono sufficienti a servire il debito a medio lungo termine. Tipicamente l’azienda si è indebitata sottoscrivendo un mutuo ipotecario a fronte di un investimento in immobilizzazioni strumentali, ritenendo che vi fosse capienza per servirlo ma l’evoluzione aziendale successiva ha compromesso la capacità di rimborso. La scelta sbagliata in questo caso è la “politica dello struzzo”: nascondere la testa sotto la sabbia, sperando che la situazione migliori da sé, porta purtroppo ad un assommarsi di rate insolute che causano un rilevante onere economico derivante da un lato dall’applicazione degli interessi moratori e dall’altro dal peggioramento del rating (le rate insolute sono segnalate in Centrale Rischi) e dei conseguenti maggiori interessi sul debito a breve. La scelta giusta è quella di rinegoziare per tempo con le banche (quando i pagamenti sono ancora regolari) una moratoria sul pagamento del capitale oppure una maggiore flessibilità nel piano di ammortamento. Una adeguata documentazione e un convincente business plan sono strumenti indispensabili per ottenere il supporto dell’istituto di credito.

Secondo. La somma degli anticipi contro fatture e delle aperture di credito in conto corrente (cosiddetti scoperti di conto) copre tutto il capitale circolante e una quota rilevante delle immobilizzazioni. L’impresa ha realizzato investimenti destinati a durare nel tempo utilizzando forme di finanziamento a breve creando un evidente squilibrio tra le scadenze dell’attivo e del passivo. I succitati finanziamenti a breve sono lasciati in misura rilevante alla discrezionalità della banca che può decidere di ridurre l’accordato sui conti anticipi e revocare/ridurre da un giorno all’altro gli scoperti di conto (che infatti sono linee a revoca e non a scadenza!). Tale situazione, come si è visto nei momenti più difficili della crisi finanziari, possono essere del tutto estranei agli eventi aziendali ma l’effetto in molti casi è stato disastrosi. La scelta corretta è quella di rispettare l’equilibrio delle scadenze e se del caso negoziare con la banche un consolidamento del debito, eventualmente anche dando garanzie per coprirsi da un rischio che nel contesto attuale è assai meno remoto che in passato.

Terzo. Gli anticipi contro fatture hanno ampi margini di utilizzo. Tale situazione normalmente trae origine dal calo dei ricavi che ha ridotto la quantità (e forse anche la qualità) dei crediti anticipabili in banca. La scelta di mantenere invariati gli accordati ha senso solamente in presenza di ragionevoli previsioni di crescita dei ricavi nel breve periodo, altrimenti l’impresa sostiene solamente un costo legato alle commissioni disponibilità fondi (calcolate sull’accordato – possono arrivare fino al 2%) senza ottenerne alcun vantaggio. Ove possibile, non è facile ma si può tentare, a fronte della rinuncia all’accordato sugli anticipi si possono chiedere maggiori accordati su altre linee.

Quarto. Gli anticipi contro fatture sono interamente utilizzati e gli scoperti di conto non scendono mai sotto l’80%, 85% dell’accordato. In questa situazione è molto probabile che l’impresa abbia ulteriori fatture anticipabili, ma oltre accordato. Le esigenze finanziarie a breve si scaricano sugli scoperti di conto. Questa situazione comporta un onere pesante per l’impresa poiché il differenziale di spread tra il costo degli anticipi e dello scoperto di conto può anche essere del 4%-5%.E’ necessario spostare accordati tra le due linee mostrando alla banca, con idonea documentazione, che esistono riserve di crediti anticipabili. Anche a motivo del differente rischio, la banca non dovrebbe opporre troppa resistenza (specie se il portafoglio clienti è buono).

Quinto. Le diverse tipologie di accordati sugli anticipi (Ri.Ba.sbf, scadenza, export, eventualmente import) sono rigidamente definite da ciascun istituto. Se un’impresa opera su più mercati, su più canali ed ha una forte stagionalità su ciascuno di essi è necessario muoversi verso “fidi promiscui” ovvero negoziare con la banca la possibilità di utilizzare gli accordati come è più conveniente nei diversi periodi. Vale la pena di insistere, dove il problema esiste, sulle linee import per finanziare acquisti a pronti sui mercati esteri.

Si nota in conclusione che, nel contesto attuale, non è possibile gestire in modo ottimale la composizione del debito senza disporre di previsioni attendibili ed aggiornate circa il futuro andamento aziendale.

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